In cavalleria
La passione per i cavalli che caratterizzò Baracca per tutta la vita, si manifestò fin dalla sua infanzia. Amante della vita all’aria aperta, già durante gli anni del collegio, il giovane Francesco trovava sfogo e sollievo dalla monotona routine scolastica, montando in sella e prendendo lezioni di equitazione, con l’approvazione del padre Enrico, grande appassionato di cavalli, suscitando le preoccupazioni della madre Paolina. Le tanto agognate vacanze estive trascorse nella villa di campagna a S. Potito, diventavano l’occasione ideale per fare passeggiate nei dintorni e soprattutto per cimentarsi nel salto di ogni sorta di ostacolo, richiamando un pubblico formato dalle numerose famiglie contadine della zona che si riunivano la domenica per assistervi.
Quando Baracca scelse di intraprendere la carriera militare, l’aspirazione a diventare allievo del corso di Cavalleria era pressoché scontata e nel 1909, dopo due anni di studi alla Scuola Militare di Modena, si diplomò con buoni voti e conseguì il grado di sottotenente nell’Arma di Cavalleria. Gli ottimi risultati ottenuti in equitazione valsero a Francesco l’assegnazione al 2° Reggimento Piemonte Reale Cavalleria, uno dei reggimenti più antichi e prestigiosi del Regio Esercito, e fu trasferito a Pinerolo, presso la Scuola di Cavalleria per il completamento degli studi. Qui le giornate trascorrevano veloci per i neoufficiali, divisi fra ore di teoria e di pratica, montando i numerosi cavalli di cui disponeva la Scuola, senza contare i due destrieri assegnati personalmente al sottotenente, quello “di carica” e quello “di proprietà”.
Seguendo una tradizione ben consolidata, veniva versata una lira in un fondo comune per ogni caduta da cavallo, avvenimento frequente per tanti cavalieri, ma non per Baracca, che dovette unirvi anche una bottiglia di champagne, in quanto era il primo capitombolo da ben due anni. A Pinerolo Baracca godeva di maggior libertà rispetto agli anni modenesi, cominciando così a frequentare ritrovi dell’alta società piemontese dell’epoca. All’inizio del ‘900 la Cavalleria era considerata ancora l’arma “nobile”, sia in termini militari sia per gli aspetti mondani intrinsechi alla figura dei cavalieri, aitanti nelle loro uniformi fra luccichii di sciabole e speroni.
Tali svaghi non andarono però ad intaccare l’impegno e la cura che Baracca dimostrava nella preparazione e nei duri allenamenti, mettendosi talvolta a dieta ferrea quando la bilancia mostrava un appesantimento, e al completamento degli studi a Pinerolo, conseguì il punteggio massimo in equitazione, insieme a soli quattro colleghi su 57.
Una volta giunto al 1° squadrone del reggimento a Roma, alla fine dell’estate del 1910, gli fu assegnato il comando di un plotone e soprattutto l’istruzione degli esploratori e dei cavalieri scelti. Proprio in occasione di alcune escursioni con i propri uomini nelle campagne di Centocelle, Francesco assistette a diversi voli e ne scrisse subito alla madre affermando che “un generale giorni sono, ci diceva che gli ufficiali di cavalleria, l’arma intrepida ed intraprendente, dovranno dedicarsi all’aviazione che porterà grandi cambiamenti nelle guerre future”.
Nonostante un certo interesse che trapela dal tono neutro della lettera nei confronti dell’apertura di un corso di aviazione presso il campo di Centocelle, Baracca riferì all’apprensiva Paolina di non avere intenzione di iscriversi lui pure e di essere molto impegnato con i propri cavalli.
In quel periodo, infatti, si apriva anche il corso complementare di Tor di Quinto; inoltre Francesco, oltre agli abituali impegni allo squadrone, era intento a prepararsi per il Concorso Ippico Internazionale di Roma, dove ottenne buoni piazzamenti in diverse categorie e vinse l’orologio Hausmann che portò fino alla morte, e per il Concorso Ippico a Torino organizzato dalla Società Nazionale Zootecnica nella primavera del 1911.
Tale era la sua dedizione negli allenamenti, che trascurò l’amatissima e sfavillante vita sociale che conduceva a Roma, fra cacce alla volpe, cene nei restaurants, spettacoli lirici a teatro e nei cafè-concerto.
I denari naturalmente non bastavano mai ed Enrico, di buon grado, concesse l’adeguato supporto economico per le numerose e dispendiose attività del figlio, senza dimenticare i capi di vestiario e gli accessori per l’equitazione.
Quando decise di dedicarsi all’aviazione, Francesco non trascurò mai la sua passione per l’equitazione e portò con sé i suoi amati cavalli in ogni suo trasferimento, anche durante gli anni della guerra.
In occasione della ritirata di Caporetto, Baracca e compagni furono costretti ad abbandonare la base di S. Caterina di Udine: Francesco, in quanto comandante della 91a Squadriglia, fu l’ultimo ad andarsene e rimase incerto fra il partire in volo od unirsi allo squadrone del Genova Cavalleria, che stava difendendo il campo base, e montare a cavallo per caricare gli austriaci.
Ulteriore testimonianza fondamentale di questo amore, rimasto comunque immutato, fu la scelta di adottare come simbolo personale, il cavallino rampante, in onore del suo reggimento e dell’Arma di cui ha sempre fatto parte.
Grazie al ricco epistolario pervenutoci, è possibile ricostruire, almeno parzialmente, la dimensione privata di Francesco Baracca, contraddistinta da passioni ed interessi comuni ai giovani di buona famiglia all’inizio del Novecento.
Amante del teatro e della lirica fin dall’adolescenza trascorsa a Firenze; il giovane sottotenente lughese, dopo aver frequentato il duro biennio alla Scuola Militare di Modena, potè godere della vita mondana di Pinerolo, con frequenti puntate a Torino, insieme agli amici e colleghi della Scuola di Cavalleria.
Nel settembre del 1910, una volta giunto a Roma, assegnato al reggimento Piemonte Reale Cavalleria, Francesco mantenne la promessa fattasi di “darsi alla pazza gioia ”: acquistò così abbonamenti per le barcacce nei teatri Costanzi ed Argentina e per le cene in eleganti restaurants. Iniziò inoltre a frequentare numerosi cafè-concerto , fra i quali spiccava il Salone Margherita.
Alcune volte, accompagnato da amici e rigorosamente in borghese, si divertiva a “far un baccano d’inferno ” in qualche ristorante meno distinto.
La propensione a far baldoria gli costò pure un trasloco da Via Palestro, poiché la padrona di casa “si lagnava perché facevamo troppo chiasso ed allora perdetti la pazienza e me ne andai ”.
Desiderando che “le giornate fossero lunghe lunghe per poter vedere tutto ciò che desidero ”, Francesco non mancò di visitare monumenti ed esposizioni, ma soprattutto fu un assiduo partecipante delle cacce alla volpe nelle campagne romane, appuntamento immancabile per gli eleganti ed audaci ufficiali di cavalleria e per la nobiltà della Capitale.
La dolce vita romana era pure allietata da gite fuori porta , in automobile, con signore e signorine italiane e straniere. Nonostante le facilitazioni date dallo status di cavaliere, il tenore di vita di Baracca richiedeva un aiuto economico da parte della famiglia, con frequenti note di spesa riguardanti l’abbigliamento ed accessori “perché qua bisogna andare inappuntabili ”.
Risale probabilmente al periodo romano anche l’affiliazione alla Massoneria come appartenente al Rito Scozzese Antico ed Accettato col XVIII grado all’Obbedienza di Piazza del Gesù.
Francesco passò alcuni mesi a Rieti , in distaccamento con il proprio squadrone, verso la fine del 1911.
Il confronto con la sfavillante vita mondana capitolina risultò impietoso e Baracca si dovette accontentare di serate al cafè o al circolo, trovando uno sfogo molto parziale in lunghe passeggiate a cavallo nel tempo libero ed augurandosi di partire per la Libia, dove era scoppiato il conflitto con l’Impero Ottomano, “tanto per toglierci da questo paese poco simpatico ”.
Una volta rientrato a Roma, di nuovo immerso nel tourbillon di eventi, cominciò pure a schettinare nei giorni di brutto tempo. Temendo di incappare in un altro poco piacevole distaccamento nei mesi successivi, Francesco avrebbe voluto “dividersi in dieci ” per non mancare a tutti gli eventi mondani . Nel frattempo, all’inizio della primavera del 1912, aveva sporto domanda per prendere il brevetto di pilotaggio in Francia.
Per non far preoccupare l’apprensiva madre Paolina, Francesco trovò il pretesto dello studio delle lingue in quanto “qui a Roma sono indispensabili mentre ora non ho davvero il tempo di mettermi a studiare, ma in estate lo farò ed occorre che Papà mi prepari un viaggio all’estero ”.
Gli anni spensierati trascorsi nella Capitale stavano per concludersi ed il 25 aprile 1912 Baracca partì in treno alla volta di Reims, in Francia.
Il periodo romano
Grazie al ricco epistolario pervenutoci, è possibile ricostruire, almeno parzialmente, la dimensione privata di Francesco Baracca, contraddistinta da passioni ed interessi comuni ai giovani di buona famiglia all’inizio del Novecento.
Amante del teatro e della lirica fin dall’adolescenza trascorsa a Firenze; il giovane sottotenente lughese, dopo aver frequentato il duro biennio alla Scuola Militare di Modena, poté godere della vita mondana di Pinerolo, con frequenti puntate a Torino, insieme agli amici e colleghi della Scuola di Cavalleria.
Nel settembre del 1910, una volta giunto a Roma, assegnato al reggimento Piemonte Reale Cavalleria, Francesco mantenne la promessa fattasi di “darsi alla pazza gioia”: acquistò così abbonamenti per le barcacce nei teatri Costanzi ed Argentina e per le cene in eleganti restaurants. Iniziò inoltre a frequentare numerosi cafè-concerto, fra i quali spiccava il Salone Margherita.
Alcune volte, accompagnato da amici e rigorosamente in borghese, si divertiva a “far un baccano d’inferno” in qualche ristorante meno distinto.
La propensione a far baldoria gli costò pure un trasloco da Via Palestro, poiché la padrona di casa “si lagnava perché facevamo troppo chiasso ed allora perdetti la pazienza e me ne andai”.
Desiderando che “le giornate fossero lunghe lunghe per poter vedere tutto ciò che desidero”, Francesco non mancò di visitare monumenti ed esposizioni, ma soprattutto fu un assiduo partecipante delle cacce alla volpe nelle campagne romane, appuntamento immancabile per gli eleganti ed audaci ufficiali di cavalleria e per la nobiltà della Capitale.
La dolce vita romana era pure allietata da gite fuori porta, in automobile, con signore e signorine italiane e straniere. Nonostante le facilitazioni date dallo status di cavaliere, il tenore di vita di Baracca richiedeva un aiuto economico da parte della famiglia, con frequenti note di spesa riguardanti l’abbigliamento ed accessori “perché qua bisogna andare inappuntabili”.
Risale probabilmente al periodo romano anche l’affiliazione alla Massoneria come appartenente al Rito Scozzese Antico ed Accettato col XVIII grado all’Obbedienza di Piazza del Gesù.
Francesco passò alcuni mesi a Rieti, in distaccamento con il proprio squadrone, verso la fine del 1911.
Il confronto con la sfavillante vita mondana capitolina risultò impietoso e Baracca si dovette accontentare di serate al cafè o al circolo, trovando uno sfogo molto parziale in lunghe passeggiate a cavallo nel tempo libero ed augurandosi di partire per la Libia, dove era scoppiato il conflitto con l’Impero Ottomano, “tanto per toglierci da questo paese poco simpatico”.
Una volta rientrato a Roma, di nuovo immerso nel tourbillon di eventi, cominciò pure a schettinare nei giorni di brutto tempo. Temendo di incappare in un altro poco piacevole distaccamento nei mesi successivi, Francesco avrebbe voluto “dividersi in dieci ” per non mancare a tutti gli eventi mondani. Nel frattempo, all’inizio della primavera del 1912, aveva sporto domanda per prendere il brevetto di pilotaggio in Francia.
Per non far preoccupare l’apprensiva madre Paolina, Francesco trovò il pretesto dello studio delle lingue in quanto “qui a Roma sono indispensabili mentre ora non ho davvero il tempo di mettermi a studiare, ma in estate lo farò ed occorre che Papà mi prepari un viaggio all’estero”.
Gli anni spensierati trascorsi nella Capitale stavano per concludersi ed il 25 aprile 1912 Baracca partì in treno alla volta di Reims, in Francia.